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In Corea, il matrimonio, in quanto motivo di festa al pari di un compleanno, viene celebrato come facciamo noi, ma con regole diverse, data la differente cultura e le tradizioni del Paese.
Convolare a nozze, per i giovani coreani, significa diventare adulti ed entrare a far parte ufficialmente della società civile. Una volta deciso di sposarsi, per i fidanzati c’è l’incontro ufficiale con i genitori, per il consenso al matrimonio. Questo perché, come per altre culture, anche in quella coreana il matrimonio è visto non solo come unione tra gli sposi, ma anche tra le due famiglie a cui essi appartengono. In questo incontro si discute (nel caso si preferisca il tradizionale rito coreano alla cerimonia in stile occidentale) se scegliere un semplice “pyebaek” oppure qualcosa di più complesso, come si usava in passato.
Attualmente circa un quarto dei coreani è di religione cristiana, questo fa sì che siano sempre di più i matrimoni celebrati in chiesa. Nel caso in cui gli sposi siano cattolici la cerimonia è simile a quella italiana con alcune differenze nel “prima” e nel “dopo” il rito.Circa un mese prima delle nozze, i futuri sposi passano una giornata con una troupe di fotografi che sceglie per loro una località fuori città (solitamente le rive di un lago o un villaggio nella campagna coreana) per realizzare il loro album di nozze da mostrare a parenti ed amici. Di solito, tra le varie foto non deve mancarne una che ritragga i futuri sposi seduti sui binari di una ferrovia per indicare la metafora, molto cara ai coreani, della vita vista come un sentiero da percorrere insieme. Nelle foto, inoltre, i fidanzati alternano gli abiti tradizionali (hanbok) a quelli in stile occidentale che indosseranno il giorno della cerimonia.
Gli inviti (come in Italia) sono biglietti, decorati con una foto a scelta tra quelle scattate per l’album, che contengono dei pensieri romantici, i nomi dei ragazzi,subordinato a quello dei genitori (ad es: “Pippo, secondo figlio di Ugo Rossi e Pina Verdi, e Gina, prima figlia di Adolfo Marzi e Sandra Moli, si sposano”), e la data delle nozze. L’elemento che occupa maggior spazio sul cartoncino, però, e una mappa stilizzata che spiega agli invitati come raggiungere il luogo del matrimonio.
In Corea, oltre al rito civile che si svolge nelle sedi comunali locali (a Seoul distretti e circoscrizioni varie), è molto di moda scegliere di sposarsi nelle sale degli alberghi di lusso o, molto più spesso, prendendo in affitto locali posti in edifici costruiti per ospitare questo genere di eventi. Queste wedding hall mettono a disposizione tutto il necessario per un matrimonio: dagli officianti, alle sale per i riti matrimoniali (se ne tengono diversi in contemporanea), alle sale per il rinfresco,… Dal momento che in molti scelgono di sposarsi nel week end, conviene prenotare la sala con grande anticipo per evitare di dover celebrare le proprie nozze in orari scomodi.
Ed eccoci al grande giorno! Gli invitati che riescono a decifrare correttamente la mappa sull’invito ed arrivano in anticipo, si sottopongono al rituale della foto con la sposa. Il rituale a cui non si può scappare, che si arrivi puntuali o in ritardo, riguarda la consegna dei doni nuziali. All’ingresso della sala in cui avrà luogo la cerimonia vengono posti due tavoli (uno per gli invitati dello sposo e uno per quelli della sposa) sui quali sono posti un grosso quadernone (su cui scrivere il proprio nome) e delle misteriose buste in cui lasciare del denaro, avendo cura di firmarle (le donazioni verranno poi annotate in un apposito registro che i novelli sposi potranno consultare in futuro). In cambio della busta col dono, viene consegnato agli ospiti un’oggetto: lo sikkwon (食券). Questo termine significa letteralmente “biglietto del pasto” e l’oggetto in questione consente l’accesso alla sala del rinfresco. In questo modo si evita che degli sconosciuti approfittino dei banchetti nuziali per abbuffarsi a spese altrui, senza donare nulla agli sposi.
Il rito del matrimonio coreano si svolge in varie fasi che ne caratterizzano la sacralità. Si comincia con l’ingresso degli sposi (che indossano abiti da cerimonia in stile occidentale) nella sala che, percorrendo una pedana rialzata, vanno dall’ingresso centrale fino all’ ”altare” dove li attende l’officiante. Giunti alla “meta” i due innamorati pronunciano un discorso, seguito poi da un breve discorso dell’officiante che, pur non avendo mai incontrato prima la coppia ne racconta la storia, illustrando loro le gioie della vita matrimoniale. Il momento successivo è costituito da un omaggio musicale realizzato per gli sposi dagli amici di almeno uno di loro. A questo punto c’è Il saluto ai genitori: i neo sposi si prostrano prima di fronte ai genitori di lei e dopo a quelli di lui. Per concludere il rito la coppia percorre, al contrario, il percorso fatto all’inizio mentre gli altoparlanti diffondono musica gioiosa di buon augurio intervallata dalla marcia nuziale.
Il rinfresco viene offerto presso la stessa sede dove ha avuto luogo il matrimonio, in un’apposita sala. Tranne casi sporadici, il tutto consiste in un buffet: le pietanze sono poste su una grande tavolata dove gli ospiti devono servirsi da soli, sperando di riuscire ad assicurarsi il pasto prima di chiunque altro ed evitare di rimanere a bocca asciutta dopo il passaggio degli altri ospiti. In quel momento gli sposi, che nel frattempo hanno indossato l’abito tradizionale coreano (lo hanbok 韓服), fanno il loro ingresso per salutare gli invitati. Tutto deve svolgersi in fretta per dare la possibilità di allestire la sala per un nuovo rinfresco dell’eventuale matrimonio successivo.
Chi preferisce il rito più tradizionale, invece, deve cercare una location in stile antico, oppure organizzarsi nel cortile della casa della sposa . Lo sposo fa il suo ingresso a cavallo ed entrambi gli sposi devono indossare l’abito tradizionale.
Fin dai tempi antichi, l’abito della sposa era composto da una giacca corta a maniche lunghe, decorata con due nastri, una gonna a vita alta, lunga fino ai piedi, dei calzini bianchi di cotone e gli zoccoli. A completare il tutto poteva esserci una fusciacca bianca, in genere ornata a fantasia, e un copricapo (generalmente una corona).
L’hanbok dello sposo prevedeva anch’esso un giacchino corto a manica larga (tipico del costume tradizionale coreano), pantaloni larghi e rigonfi con cinturini legati alle caviglie e un soprabito (solitamente un gilet) e, chi preferiva, poteva scegliere di indossare un cappello nero. Nella cintura dei calzoni dello sposo, in passato, era cucito del cotone, come buon auspicio, perché la sua famiglia fosse numerosa. Lo sposo indossava anche un lungo soprabito. Sopra questa mise era previsto il tallyŏng, un indumento di colore blu o marrone, con un’insegna ricamata sul petto raffigurante due gru bianche dalla cresta rossa. Ai piedi l’uomo indossava i pŏsŏn, calze bianche imbottite, con i mokhwa, calzari alti fino alla caviglia e, a cingergli la vita, una cintura, o kaktae. Andava al matrimonio con la faccia velata.
Per il giorno del matrimonio, la sposa si incipriava il viso. Qualche giorno prima del matrimonio rimuoveva l’eventuale leggera peluria del volto per assicurarsi che il suo volto, sotto la cipria, apparisse liscio. Lasciava, però, quella attorno alle orecchie, in quanto gli ideali di bellezza femminile del passato richiedevano una fronte pulita, ma lunghi capelli alle tempie e attorno alle orecchie. La sposa aveva anche una complicata acconciatura che prevedeva capelli tirati e legati dietro la testa. Per dare maggior volume alla sua chioma usava una grande parrucca con un enorme chignon, o nangja ssangye. Il termine ssangye si riferiva ai capelli intrecciati in due trecce, un simbolo cinese dello stato di persona non sposata, sia per gli uomini che per le donne. Lo chignon chiamato nangja ssanggye era formato da un paio di trecce legate separatamente dietro la testa. La sposa, dopo la prima notte di nozze, intrecciava i propri capelli in un’unica treccia. Dopo aver pettinato i capelli, una donna sposata li legava con un semplice nastro rosso che continuava a tenere tra i capelli finché il marito era in vita (anche durante la vecchiaia).
Blu e rosso sono i colori tradizionali dei matrimoni Coreani, i quali simboleggiano lo yin e lo yan ovvero gli uomini e le donne che si uniscono in modo armonico. I Matrimoni sono caratterizzati da tessuti, fiori, vasi e piatti di legno. Al centro tavola vengono usate molto spesso delle candele.
È tradizione che in tutti i banchetti nuziali venga servita una zuppa di “noodles” che nella cultura coreana simboleggia un lunga e felice vita. Inoodles sono un tipo di pasta molto somigliante ai nostri spaghetti, ma molto più grossa, che viene bollita in brodo di manzo e con contorno di verdure. Oltre a questa pietanza ne vengono servite altre della tradizione coreana. Si parte dal “bulgogi”, ossia vitello marinato e cotto nel barbecue o da cotolette marinate chiamate “galbi”. Si prosegue poi con una varietà di gnocchi tipica del posto, e degli involtini di riso ripieni di verdure e carne avvolti in alghe marine che prendono il nome di “kimbap”. Infine, come nella maggior parte dei matrimoni, c’è il tradizionale dolce nuziale: una torta di riso chiamata “dok”.
Nella tradizione Coreana, a conclusione della cerimonia, la sposa va a salutare in modo formale i propri suoceri. Subito dopo, lo sposo dà un passaggio a cavallo prima a sua madre e poi a sua moglie, per simboleggiare un obbligo nei confronti delle due donne.
Al giorno d’oggi la maggior parte dei matrimoni coreani si svolgono secondo le usanze occidentali, ma non sarebbe male che i giovani sposi riscoprissero la saggezza riportata dai vari simboli della tradizione.
Autore: Lynda Di Natale Pubblicato: felicementesposati.it